Rinascere Insieme: Il Viaggio di Ada e Roberto tra Amore e Speranza
di Roberto Xausa
Nel cuore di quella notte calda e serena di un giugno di molti anni fa, immersi nel silenzio e nel buio più totale, due giovani erano nel mezzo di una pista dell’aeroporto di Venezia e, forse, non si rendevano conto che in quel momento stava per cambiare la loro vita.
La malattia.
Due giovani, appunto, 23 anni lei, 24 lui, innamorati e fidanzati da qualche anno, progettavano il matrimonio a breve, subito dopo le Lauree in architettura già programmate nei prossimi due o tre mesi. Lei, Ada, si ammala, una febbricola che non la lascia, visita medica, esami clinici ed è subito chiaro: bisogna correre a Vicenza, al reparto di nefrologia. Così, non appena il Prof. Giuseppe la Greca ed un giovane Dottor Claudio Ronco delineano il quadro della situazione, chiamano i famigliari, papà e mamma, il fidanzatino Roberto e con il garbo che la situazione richiede, parlano di …dieta aproteica, di… un orizzonte non favorevole e di… un indispensabile prossimo periodo di emodialisi…. Ma soprattutto che se di Matrimonio si parla, allora bisognava accelerare i tempi.
E così, con i medici davanti, venne decisa una data: 14 febbraio 1974, sarebbe stato un San Valentino carico di tutti i buoni auspici che la situazione meritava. L’orizzonte non era roseo, ovviamente, nubi scure piene di ansie e di pensieri anche negativi presero tutte le famiglie: i genitori di Roberto che con un abbraccio dissero che loro sarebbero stati sempre al suo fianco qualunque cosa accadesse e i genitori di Ada che capivano la gravità del momento, ma che cercavano con il sorriso di attenuare i toni cupi.
Matrimonio: tanta festa e tante lacrime di tutti, tante ansie, ma anche tanto ottimismo negli Sposi.
L’emodialisi.
I giorni correvano e, dieta o non dieta, si avvicinava il momento dell’emodialisi.
Quel giovane marito venne chiamato a Vicenza e il messaggio era … “ ti faccio vedere cosa avviene nel reparto, cos’è la macchina, cosa sono i filtri, come funziona, come allacciare il paziente, cosa succede se scoppia un filtro, come cambiarlo e soprattutto come recuperare il sangue in extra circolazione corporea”. La cosa sembrava abbastanza complicata, ma l’amore e la passione di un tecnico, Pino La Mura, sembrava facilitare molto le cose, soprattutto venne spiegato che dopo un periodo di “preparazione” , il trattamento di emodialisi poteva essere fatto a casa, a Bassano, a domicilio, eseguito direttamente dal giovane marito con una cadenza rigida, ferrea e inesorabile, lunedì, martedì e venerdì, dal tardo pomeriggio sino a notte, forse per cinque, forse per sei ore.
Non fu un periodo facile e la memoria corre alla grande sete, alla voglia di bere e di non poterlo fare, alla totale complicità di papà Renzo e mamma Velia che anche il semplice gesto di sorseggiare un bicchiere d’acqua veniva fatto di nascosto, non volevano essere visti, forse si sentivano inconsciamente colpevoli di possedere un bene in quel momento non accessibile a tutti. Lunedì, martedì, venerdì, aghi butterfly, cannule, filtri, eparina, circolazione venosa e circolazione arteriosa e mille altre diavolerie da seguire, compresa l’angoscia delle spie rosse e dei segnali acustici che quando partivano non presagivano nulla di buono. Forse non se ne rendevano conto, ma i ritmi della vita e della famiglia erano inesorabilmente scanditi da quei tre appuntamenti settimanali, lunedì, martedì, venerdì: tutti i ritmi del quotidiano erano gestiti in funzione di quelle date.
E così passò il 1974.
A metà degli anni settanta nasceva in Italia una forte attenzione alla donazione degli organi, ma tutto ancora era agli albori. Non esisteva l’AIDO e i trapianti in Italia si contavano sulle dita di una mano, i Professori Malan a Milano e Confortini a Roma potevano vantare forse una decina di interventi all’anno ed esclusivamente di rene. Quelli di cuore o altri organi sarebbero arrivati molto più tardi. E proprio in questo quadro, assolutamente non molto ottimistico, il Prof. Giuseppe La Greca consigliò alla giovane paziente di “mettersi in lista d’attesa” presso i Centri di trapianto più attivi del momento, anche in campo europeo, non solo in Italia. Bisognava fare la “tipizzazione”, la valutazione cioè delle caratteristiche fisiologiche della persona collegate al dono di un organo esterno. Tra una dialisi e l’altra i nostri due giovani si presentarono a Lovanio, in Belgio, dal prof. Alexander, ma anche da Largiarder a Zurigo e a Milano da Malan.
Intanto i trattamenti dialitici proseguivano, inesorabili e precisi.
Quella sera, un lunedì, Alberto Sordi era in televisione con “Fumo di Londra”, il trattamento dialitico era alla sua conclusione, il recupero della circolazione extra corporea era quasi completato, ormai le 23 erano passate da tempo e anche quella giornata era conclusa.
La corsa.
Squilla il telefono di casa. In uno stentato italiano “… buona sera… sono il Dott. Urfer di Zurigo….è possibile che ci sia un rene per sua moglie… come sta?...” e poi “… la richiamo entro un’ora per la conferma…”
Nei cuori batteva l’ora del D-Day.
Verso mezzanotte Zurigo richiama e conferma che l’organizzazione Europe Transplant aveva confermato un rene di provenienza da un non meglio precisato Paese del nord Europa e confermano che un aereo della Croce Rossa svizzera era in partenza per Venezia per il trasporto di paziente ed accompagnatore. In quell’istante partì anche il protocollo pre-intervento: due ore prima, pillola bianca, tre ore prima, pillola azzurra ed ancora….
Giro di telefonate e da Bassano partono due auto, destinazione aeroporto Marco Polo. Due, perché se una si fosse rotta… ce n’era un’altra. Sì, i due ragazzi erano in mezzo alla pista nel buio totale e solo pochi minuti dopo, appena il rombo del bireattore divenne percepibile, l’accensione della pista squarciò la notte: luci rosse e verdi perfettamente allineate a perdita d’occhio.
Il piccolo aereo bianco con la croce rossa sul muso si fermò, girò di centottanta gradi, aprì la scaletta, fece salire i due passeggeri e dopo un brevissimo saluto ripartì per Zurigo.
Ore 04:00 - arrivo a Zurigo
Ore 04:30 - Universitatspital Zurich
Ore 08:00, finalmente il trapianto e poi camera sterile per almeno venti giorni.
E poi… e poi…. la vita si apre e giorno dopo giorno si dimenticano la grande sete, le ansie e le preoccupazioni. Anche l’emodialisi viene presto dimenticata, adesso la priorità erano i farmaci, il cortisone e gli immunosoppressori, era un pegno che si doveva accettare e pagare ben sapendo che nella giovane coppia tante porte si sarebbero aperte, tranne una, quella della maternità.
Troppo rischiosa una gravidanza bombardata da quei farmaci che avevano il solo scopo di colpire ogni “intruso”, compresa anche una nuova vita.
La gravidanza.
Passò un anno, un anno e mezzo, era quasi Natale del 1976 e, in un dopo cena, i due giovani salirono nell’appartamento dei genitori di lei, “…sedetevi e tirate un bel sospiro…. da oggi non sarete solo mamma e papà, ma anche nonni…”. Non posso sapere cosa passasse nelle loro teste, ma certamente nella stanza si colse un “…buona fortuna ragazzi”.
La gravidanza, neanche a dirlo, rappresentava per quegli anni una “prima volta”, un unicum tra le giovani donne trapiantate. L’Ospedale Universitario di Zurigo seguì ogni piccolo passo di quella gravidanza, prelievi, mappe cromosomiche, analisi e consigli medici. Tutto un mondo da scoprire e percorrere nella incertezza dell’esito finale. Alla fine arrivò un’ ultima lettera da Zurigo: “… mappa cromosomica perfetta… tutto prosegue bene… sarà una femmina…” Accidenti! Proprio quello che tutti desideravano e quando dico tutti erano proprio tutti, genitori, nonni , parenti ed amici.
Era aprile del ’77, dalla sala parto si vedeva nevicare copiosamente, era una sala molto affollata, ostetriche, neonatologi, nefrologi e, naturalmente, il papà.
Chiara nacque verso le 18 e venne immediatamente esaminata sotto ogni aspetto clinico, la mamma venne visitata per gli aspetti renali: tutto andava per il meglio e, soprattutto, la bimba nacque perfetta. Dalla porta della camera, attraverso un vetro, i volti raggianti e sorridenti dei quattro nonni non lasciavano dubbi: ben arrivata Chiara! Alla fine, tanti sospiri, tante lacrime, tante gioie e tanta fortuna.
I giovani genitori avevano la loro amatissima figlia ed il pensiero andava a tutte quelle persone che hanno reso possibile tutto ciò, medici, infermieri, tecnici, genitori e amici.
Sarebbe stata una vita nuova, vissuta per 30 anni dopo il trapianto, accompagnando tutte le cose belle di Chiara, sino alla sua Laurea, ma purtroppo non arrivando a godere del matrimonio e della nascita di due bellissimi ragazzi: Giovanni e Ettore, i miei cari nipoti.
L’ottimismo.
Sì, di ottimismo si deve parlare.
Dopo il trapianto, Ada si riappropriò della sua vita normale, una vita piena fatta di amicizie, di viaggi, di esperienze, di affetti e di gioie. Non si perse d’animo nel portare la propria esperienza a chi doveva affrontare un percorso ancora avvolto nelle incertezze e nei dubbi della malattia e dedicò molte energie anche nel dare il giusto supporto ad una famiglia di immigrati con un giovane figlio nefropatico.
Se ripenso a tutto questo, ripenso anche ai valori della solidarietà che sono la base, le fondamenta che costituiscono l’AIDO ed il suo insostituibile impegno etico rivolto alle nostre Comunità.
Roberto Xausa